4. Conclusioni

A tre anni dalla Legge 56/2014 che sancisce l’istituzione delle Città Metropolitane possiamo cominciare a tracciare un primo bilancio della loro attivazione. Alla luce dell’analisi dello stato dell’arte dell’istituzione e dello studio dei Piani Strategici di Torino, Milano e Bologna, si possono individuare una serie di debolezze strutturali:

  • l’assenza del suffragio universale e di conseguenza la mancanza di identificazione dell’intero territorio nel nuovo ente;
  • l’assenza di risorse e di una fiscalità propria che potrebbe mantenere le nuove istituzioni almeno al rango delle vecchie province;
  • la gratuità delle cariche che depotenzia la capacità di incidere;
  • l’incertezza su funzioni e competenze;
  • la frammentazione della strumentazione urbanistica sul territorio metropolitano, sia dal punto di vista della pianificazione che dei regolamenti;
  • la poca significatività dei confini amministrativi per molti dei territori metropolitani, con l’inclusione di realtà territorialmente molto distanti dalla città vera e propria e l’esclusione di altre invece strettamente connesse.

Date queste premesse non troppo edificanti, il Piano Strategico Metropolitano rappresenta una sfida importante della nuova istituzione. Come sostiene Raffaella Florio1, esso è a tutti gli effetti “l’occasione per costruire un «Patto del territorio» intorno alla definizione di un Disegno di Città, in cui ciascun attore metropolitano si possa riconoscere e possa assumervi responsabilità e impegni precisi per realizzarlo”2.

Nella particolare situazione di Venezia – che si vede al centro di un territorio metropolitano di fatto, che va ben oltre le attuali delimitazioni amministrative e comprende almeno Padova e Treviso – sarà necessario sancire che il Piano Strategico non potrà limitarsi al territorio ristretto dell’ex Provincia, ma dovrà coinvolgere i portatori di interesse dell’area vasta condividendo strategie che ancora una volta non possono prescindere da una visione ampia del fenomeno metropolitano. Il Piano Strategico è di per sé lo strumento adatto a costruire una conferenza metropolitana e coinvolgere le altre città in una visione strategica di cui Venezia si deve candidare ad essere la capofila, in una logica inclusiva e non esclusiva e soprattutto coinvolgendo gli stakeholders in modo mirato su progetti chiari, i cui i benefici siano ben visibili e soprattutto condivisi. Guardando oltre la sfera locale e della PaTreVe, infine, se tutte le Città Metropolitane si dotassero di uno strumento strategico e si riuscisse a creare un coordinamento di questi a livello nazionale, sostenendo questo sforzo con adeguati finanziamenti, questa diventerebbe a tutti gli effetti una vera e propria Agenda Urbana per l’Italia e si riuscirebbero a superare i numerosi antagonismi che hanno sino ad ora comportato ingenti sprechi di risorse e una confusa percezione dei progetti e dei territori da parte degli investitori stranieri.

Inoltre la redazione del Piano Strategico dovrebbe essere anche l’occasione per allargare il campo delle competenze dei tecnici che ci lavorano oltre ai funzionari della ex-provincia. Questo non per mancanza di considerazione nelle professionalità oggi presenti a Ca’ Corner, ma perché l’apporto di altri funzionari – per lo meno delle amministrazioni comunali afferenti al territorio metropolitano e regionale – potrebbe rendere il gruppo di lavoro e quindi i risultati più metropolitani sia nelle sensibilità che nelle professionalità.

Una occasione che il Piano Strategico offre al nostro territorio è quella di costruire il consenso intorno a progetti prioritari, strategici e condivisi e di costruire la base di coordinamento degli strumenti e delle politiche ordinarie oltre il singolo mandato delle amministrazioni locali: Piano Strategico quindi non solo come politica, ma soprattutto come luogo dove definire le grandi azioni di intervento prioritario in una logica di medio-lungo periodo. I sei scenari che abbiamo presentato e contraddistinto con E se Venezia… ? costituiscono un esempio di questo tipo di progettualità. Essi ci possono guidare nella capacità di traguardare obiettivi di lungo periodo per strutturare la condivisione dei progetti che saranno necessari a raggiungerli e trasformare quindi il Piano Strategico da mero strumento di indirizzo a vero e proprio strumento di coordinamento delle politiche metropolitane, dentro e fuori agli effettivi confini amministrativi.

Il primo scenario – E se Venezia fosse l’HUB logistico del NordEst? – centra la propria attenzione sull’importanza di una politica sovralocale dei trasporti merci e persone; in un contesto di incertezza sull’esito e sul compimento di progetti che rimangono sulla carta ormai da decenni per la mancanza di un coordinamento efficace di stakeholders con interessi contrastanti, il Piano Strategico Metropolitano si candida come strumento principe a dirimere gli interessi particolari e a costruire una politica unitaria. A partire dalle risorse di Porto e Aeroporto e grazie ad un sistema efficiente di mobilità e accessibilità metropolitana di area vasta – come tra l’altro ampiamente documentato nella precedente Venezia Città Metropolitana, Venezia potrebbe diventare un Hub all’avanguardia. Questo consentirebbe inoltre a Venezia di offrire servizi logistici e di branding sovralocali in un’ottica di cooperazione tra il manifatturiero ed i servizi di Padova e Treviso e per facilitarne l’internazionalizzazione.

Il secondo scenario – E se Venezia diventasse esempio di politiche di gestione e rilancio delle aree urbane? – si interroga in primis sul Turismo, un’industria che oggi presenta esternalità negative molto forti che dalla Città storica si stanno propagando alla terraferma. Nel capitolo si cerca di problematizzare il governo del turismo che non è solo politica dei flussi ma capacità di dare significato all’esperienza turistica per legarla strettamente alle peculiarità economiche dell’area metropolitana. Nel capitolo il turismo è inteso come volano per il rilancio del commercio e dell’artigianato all’interno di una strategia complessiva di rigenerazione di intere aree ora soggette ad un degrado monoturistico. Seguono quindi le politiche per la promozione di un commercio dinamico e in grado di rapportarsi con tutte le istanze che disegnano il territorio e la Città Metropolitana: politiche di gestione degli spazi e dei luoghi per il commercio e politiche per l’organizzazione dei tempi e delle attività del commercio.

Il terzo scenario – E se Venezia diventasse il primo polo universitario e d’innovazione sociale e culturale d’Europa? – pone come punto di raccordo Università – città – cultura – associazioni – imprenditoria. Questo approccio enfatizza il ruolo delle Università come attori al centro di una piattaforma caratterizzata da meccanismi di coordinamento plurimi e polimorfi. L’obiettivo di tale piattaforma è la creazione dei meccanismi di condensazione e territorializzazione dei flussi globali che attraversano oggi Venezia per dar vita a una Città Metropolitana attrattiva per una serie di lavoratori e operatori che in molte città d’Europa stanno cambiando il volto delle politiche urbane. Lavoratori che generano servizi innovativi ed anche li consumano, un circolo virtuoso che a Venezia è lungi dall’essere innescato.

Il quarto scenario – E se Venezia si reinventasse a partire dalla casa e dal riuso degli spazi pubblici? – Si interroga partendo da un dato che pregiudica fortemente il futuro della Città Metropolitana, ossia le dinamiche demografiche in atto. Non solo la Città storica perde abitanti ma anche Mestre, cuore geografico della Città Metropolitana, è soggetta ad un lento calo. Parallelamente abbiamo una crescita dei turisti nella Città con forti ripercussioni sul mercato immobiliare. La crisi economica ha poi aumentato vertiginosamente in tutta l’area metropolitana il numero di abitanti che richiede un più facile e rapido accesso alle case sociali e all’edilizia residenziale pubblica. È auspicabile pertanto il disegno di politiche per agevolare l’accesso alla casa e promuovere il riutilizzo di spazi “bloccati” da privati, istituti bancari ed enti pubblici. Se non si riuscisse ad invertire questo trend, il grado di attrattività per i giovani lavoratori e le giovani coppie potrebbe essere sempre più basso, con la conseguenza di perdere ulteriori abitanti. La sezione si interroga infine su come intervenire applicando politiche che mettano al centro l’innovazione sociale nell’ottica del welfare delle opportunità.

Il quinto scenario – E se Venezia sperimentasse il federalismo fiscale? – si interroga su un nodo dirimente per immaginare qualsivoglia scenario, il tema delle risorse. Il capitolo inserisce la specialità veneziana nel contesto della legislazione nazionale che tende, seppur ad oggi con scarsi risultati, a dotare i territori di una propria autonomia finanziaria. Il capitolo inoltre tiene conto di quanto accaduto recentemente con la stesura e la firma del Patto per Venezia.

L’ultimo scenario – E se Venezia diventasse laboratorio del welfare di domani? – si interroga a partire dal dato che la crisi economica, i cambiamenti demografici, il fenomeno dell’immigrazione hanno prodotto nuove domande di promozione e protezione sociale. Il capitolo nel proporre la necessità di innovazione delle politiche sociali e sociosanitarie parte dai bisogni sia tradizionali che emergenti come l’aumento della povertà,del disagio sociale e della difficoltà di accesso ai livelli essenziali di assistenza nella sanità. Sulle politiche sociali si sofferma sul ruolo degli enti locali che la Città Metropolitana può rafforzare favorendo e sostenendo le unioni dei comuni per costruire dal territorio livelli essenziali omogenei di risposte ai bisogni sociali dei cittadini. Mentre sulle politiche sociosanitarie si pensa ad un ruolo di controllo e verifica della programmazione e legislazione regionale puntando soprattutto a valorizzare i distretti e la rete territoriale, come sostenendo la partecipazione e l’autorganizzazione dei cittadini. Infine per un welfare del domani che sia equo, efficiente ed inclusivo si ritene necessario investire in ricerca, innovazione e formazione.

Sei scenari che tratteggiano una Città Metropolitana internazionale, adattativa, eterogenea (territorialmente) all’insegna della sussidiarietà e della partecipazione. Una Città capace di migliorare la qualità della vita delle persone che la abitano mettendo al primo posto il capitale sociale e relazionale, che oggi è già presente, ma non sufficientemente valorizzato. Quindi una città metropolitana fatta di connessioni e appartenenze. In questo senso il Piano Strategico, come abbiamo avuto modo di rimarcare in più punti della ricerca, può stimolare un gioco di squadra per la costruzione di un futuro che sia il più ampiamente condiviso. Gli scenari qui raccontati sono da leggere assieme a quanto scritto nella ricerca Venezia Città Metropolitana del 2014 e quindi una città che faceva della mobilità pubblica, del corretto uso del suolo, dell’attenzione alle nuove professioni gli assi prioritari per la sua crescita, seguendo quelle indicazioni che l’UE immagina per il 2020: città sostenibili, inclusive, intelligenti.


1 Capo Dipartimento Pianificazione Strategica Anci.

2 Raffaella Florio, Tavolo Anci «Piani Strategici Metropolitani» per ripensare e valorizzare la pianificazione, Il sole 24 ore, 14 Aprile 2016, http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/sviluppo-e-innovazione/2016-04-13/tavolo-anci-piani-strategici-metropolitani-ripensare-e-valorizzare-pianificazione-165946.php?uuid=ABYwC2EB.