Le interviste
Come abbiamo visto i lavoratori dell’innovazione possono assumere diversi profili e quindi le politiche da adottare possono essere molteplici: i lavoratori dell’innovazione sono più mobili delle comunità dotate di un profilo riconoscibile, in buona parte rimangono refrattarie a codificazioni di classe, di ceto o di luogo. Per questo ai nostri intervistati abbiamo parlato espressamente di “nuove professioni” focalizzandoci sull’incentivazione di quelle professionalità che in un mondo già poroso per definizione sono i più “estremi”, ossia trasversali per competenze, formazione, percorsi professionali, con l’idea che riuscire a disegnare politiche per la parte più difficile da circoscrivere, possa essere un mezzo privilegiato per immaginare una Città Metropolitana innovativa.
E sono politiche che si legano in più punti e modi in maniera indissolubile a molte altre considerazioni che si ritrovano negli altri due campi della presente ricerca (ad sempio al concetto di mixité e/o diritto alla città esposti in “Uso del Suolo”), a testimonianza che la chiave per una città sostenibile, inclusiva e intelligente sta proprio nella creazione di un’area attrattiva per l’unica “classe” che sembra in grado di esserne il motore propulsivo con un duplice ruolo, da una parte portatrice di idee nuovi, dall’altra possessore di competenze e conoscenza per attuare questi stessi concetti.
Oltre agli opinion leader e stakeholder sono state interpellate una ventina di professionisti dell’innovazione con interviste puntuali e focus group – curati da Luca Romano – per scavare nel rapporto tra la soggettività e la tipologia dei lavori (Banfi – Bologna, 2010) per articolare un racconto ricco di cointeressenze personalizzate sulle modalità soggettive con cui si configurano le nuove forme dell’economia urbana dell’innovazione.
CRITICITÀ
L’economia dell’innovazione è un’economia basata sulle relazioni eppure: “Una cosa che mi colpisce molto di questo territorio è che non c’è una vera capacità di costruire delle relazioni, delle conoscenze, dei rapporti. Si parla di reti, ma le reti non sono connesse e non si tende a fare sistema” (cfr. Maria Luisa Frisa). La città metropolitana presenta diversi attori, privati e pubblici, che sono impegnati nel cercare di immettere fenomeni di innovazione nel settore produttivo. Questi sono poco coordinati tra loro, situazione difficilmente comprensibile perlomeno per quelli in parte o a maggioranza pubblici. Questa debolezza è ancor più rilevante in uno scenario accettato da tutti nel quale buona parte dei finanziamenti arriverà sulla base di finanziamenti europei.
Vi è una mancanza di luoghi che creino rete di relazioni professionali ed umane. Non è quindi solo una criticità che riguarda le strutture istituzionalmente dedicate a favorire l’innovazione, ma è un aspetto che include la mancanza di luoghi di aggregazione informale. “Io ho visto pochi casi in cui la gente si conosceva e si frequentava e comunque non è mai Venezia il termine di riferimento, a Venezia ci si incontra ogni tanto “giusto per”, però non è Venezia il punto di meeting. È più facile che ci si incontri a Milano (…). Non ho mai trovato dei luoghi di socializzazione” (cfr. Guido Guerzoni). “Per definire città è importante l’esistenza di una scena underground, perché alimenta quel virus che cambia le cose” (cfr. Maria Luisa Frisa).
Inoltre la quasi totalità dei luoghi istituzionalmente dedicati a questo compito è poco integrata con il tessuto urbano. Un distacco propriamente insediativo che ha creato un isolamento tangibile che ha relegato ai margini ciò che dovrebbe invece essere al centro della comunità seppure “le produzioni di cui parliamo non sono incompatibili con i centri cittadini. Il nuovo parco scientifico intelligente dev’essere integrato alla comunità locale, al quartiere, all’ambiente in cui si trova” (cfr. Michele Vianello).
Questa iato appare un punto di criticità molto importante, considerando che molte delle figure professionali di cui stiamo parlando hanno alle loro spalle percorsi formativi eterodossi che rendono difficile una loro integrazione con il tessuto sociale tradizionale. Questo aspetto è una sfida al mondo formativo universitario ed in particolare postuniversitario: “Noi abbiamo un’idea generale del corso di studi o di formazione come prerequisito indispensabile per svolgere una professione: questo concetto continua a valere in molti campi (professioni liberali, medici, avvocati). Vi sono però ambiti professionali, legati in particolare alle nuove tecnologie, in cui si manifestano oggi molti talenti che raggiungono capacità operative ben prima del compimento del percorso di studi” (cfr. Massimo Malaguti).
La città metropolitana presenta quindi molte difficoltà ad attrarre e a fornire luoghi per le nuove start up ibride che faticano a trovare spazi a costi competitivi. Questa valutazione condivisa da molti degli intervistati è da incrociare con una disponibilità di diversi immobili anche in zone pregiate delle nostre città da parte della Pubblica Amministrazione ossia con un patrimonio pubblico oggi inutilizzato, invenduto e non valorizzato. “Se si riuscisse a recuperare o a coniugare questi spazi di una bellezza incredibile con queste imprese della conoscenza che per natura sono leggere – non sono imprese pesanti, allora credo che veramente potremmo costruire un modello in Veneto all’innovazione che non avrebbe uguali da nessun’altra parte.” (cfr. Ruggero Frezza).
Le nuove professioni risultano carenti d’attenzione in una serie di temi che dipendono da diversi attori operanti nella città metropolitana, una città che non riesce a pensarsi diversamente: “E’ un territorio che non riesce a cambiare la percezione che gli altri hanno di lui, non costruiamo storie che sono in grado di raccontarci in modo diverso” (cfr. Maria Luisa Frisa).
Riepilogo delle criticità individuate:
-
Parchi scientifici tecnologici, incubatori poco legati al contesto urbano e al sistema produttivo;
-
formazione non istituzionale, molto spesso alla base delle idee di impresa;
-
mancanza di spazi a bassissimo costo per attivare nuove attività professionali;
-
il welfare per le nuove imprese giovani è dato dalla famiglia;
-
manifattura lontana dal contesto urbano e slegata dall’offerta culturale e turistica;
-
mancanza di una scena underground forte che alimenti il cambiamento delle cose;
-
troppa specializzazione degli spazi urbani esistenti;
-
mancanza di luoghi che creino rete di relazioni professionali ed umane;
-
patrimonio pubblico oggi inutilizzato e invenduto non valorizzato;
-
assenza di un lavoro serio di mappatura di aree anche parzialmente dismesse;
-
mancanza di un museo o di un luogo che possa rappresentare la creative class metropolitana;
-
incapacità di attirare finanziamenti per nuove imprese innovative;
-
necessità di riscrivere i territori della città a partire da luogo come il VEGA: ci vuole più qualità e meno spazio;
-
poca attenzione al mondo materiale del fare.