3.5.2 Il federalismo fiscale

Il federalismo fiscale rappresenta una dottrina economico-politica che tende a stabilire una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse in una determinata area territoriale e le imposte effettivamente utilizzate dall’area stessa. Quindi la possibilità di finanziare le spese di un dato territorio con propri tributi, senza dover dipendere da altri. Una dottrina, per dirla con Luigi Bobbio1, che è: “Il banco di prova del decentramento per gli enti locali”. Una questione di lunga data anche se il “federalismo fiscale” è un’espressione nata incidentalmente in un libro di teoria della finanza pubblica di quasi sessant’anni fa (Richard Abel Musgrave, The theory of public finance: a study in public economy, 1959) anche se ovviamente esistevano elementi di federalismo fiscale in diversi ordinamenti prima che venisse in qualche maniera codificato, anche in Italia. Il sistema di norme che fissa le competenze e i rapporti finanziari tra lo Stato e il sistema delle autonomie è molto articolato e complesso, perché si rivolge a diverse categorie di enti decentrati (Regioni a Statuto ordinario, Regioni e Province a Statuto speciale, Province, Comuni, Camere di Commercio, ecc.).

Ma, lasciando da parte le Regioni e le Provincie a Statuto speciale, e focalizzandosi sul periodo storico nel quale viviamo, il processo di federalismo fiscale si è avviato a partire dagli anni ’90 con una serie di riforme che hanno portato ad un sempre maggiore decentramento fino ad arrivare nel 2001 con la riforma del titolo V della Parte II della Costituzione.

Alcuni elementi essenziali: nel 1993 è introdotta la TARSU che assegna potestà regolamentare ai comuni e province sui tributi ed è rivisto quello che all’epoca era il fondo sanitario nazionale. Inoltre l’ex bollo di circolazione dei veicoli a motore è convertito in un tributo regionale. In linea generale, alle Regioni a Statuto ordinario sono aumentati i tributi e la facoltà di introdurre addizionali e sovrimposte a tributi erariali, sempre sulla base di disposizioni previste da leggi quadro statali. Il 1997 è l’anno dell’IRAP, una imposta regionale. Nel 1999 si intacca il sistema dei trasferimenti erariali alle Regioni con una compartecipazione al gettito dell’IVA. Seguono altri provvedimenti “minori” fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, con la quale il federalismo fiscale è entrato nella Carta Costituzionale, anche se bisognerà attendere il 2009 per vedere tali principi tradotti in norme legislative. Con la legge delega 42, il legislatore dispone che le spese definite primarie siano finanziate con il gettito di tributi propri derivati dall’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all’IVA, nonché con quote specifiche del fondo perequativo e con il gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive. Per le spese diverse da quelle essenziali è stabilito che queste siano finanziate con il gettito dei tributi propri e con quote del fondo perequativo alimentato dall’addizionale all’IRPEF. Dal 2009 ad oggi seguono altri provvedimenti anche per la spinta molto forte sul tema che è stata data in maniera continuata e puntuale dalle direttive dell’Unione Europea, che richiamano continuamente al Principio di Sussidiarietà che sancisce come le funzioni debbano essere svolte dal livello più basso di governo, in quanto più vicino ai cittadini e meglio in grado di interpretarne i desideri o le preferenze. Tale Principio è recepito dalla legge n. 59 del 15 marzo 1997 (legge Bassanini) che ancor prima della revisione costituzionale trasferiva alle Autonomie “funzioni e compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità o comunque localizzabili nei rispettivi territori”. Il federalismo fiscale è divenuto oggetto di interventi e dibattiti continui, del resto i punti in gioco sono molti e articolati. Ragioni di efficienza economica, equità, stabilità macroeconomica sono tutti argomenti che entrano in questo tema e la ricerca di un giusto, ma necessario equilibrio rende questo ambito di discussione assai dinamico. Ma in termini generali il legislatore interviene spesso sulle funzioni riservate alle autonomie e solo in seguito, e non sempre, sulle risorse finanziarie. Paradigmatico l’esempio delle Città Metropolitane: istituite nel 1990, inserite in Costituzione nel 2001, rese operanti solo nel 2014 a due anni da quest’ultima norma, nonostante gli Statuti siano stati approvati, le Città Metropolitane non solo hanno subito i tagli ai trasferimenti come le Province, ma sono state ancor più penalizzate dal mancato finanziamento delle funzioni fondamentali. Tutto ciò sebbene le città si trasformino per politiche, progetti ed eventi che richiedono risorse finanziarie collegate alle funzioni, in particolare per investimenti: per far partire i governi metropolitani serve una nuova finanza delle Città Metropolitane.

Gli interventi sul tema del federalismo fiscale continuano, basti pensare alla legge di stabilità del 2016, che ha di fatto depotenziato l’autonomia impositiva dei Comuni. Tolte TASI e IMU su una buona parte degli immobili, il governo ha bloccato ogni forma di autonomia impositiva (addizionale IRPEF, gli altri immobili). Per ora un sistema federalismo fiscale in Italia non è né sviluppato né consolidato, le finanze dei Comuni e della Città Metropolitana restano legate ai trasferimenti statali o regionali.


1 Luigi Bobbio, «Il sistema degli enti locali», in Mariuccia Salviati e Loredana Sciolla (a cura di), L’Italia e le sue regioni, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, vol. 1, 2015, pp. 63-88.